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Il saggio in questione intende approfondire la complessa figura di Augusto Turati, segretario del Partito Nazionale Fascista dal 1926 al 1930. Considerato da Renzo De Felice come “il migliore tra i segretari del PNF”, la parabola di Augusto Turati è interessante sotto diversi punti di vista, politici, programmatici ed umani. L’opera intende partire proprio dai fattori umani, che lo videro in pochissimi anni passare dalla carica più importante all’interno del Partito al confino forzato nell’isola di Rodi dove, lasciata la politica, si dedicò all’attività agricola e a quella narrativa.
Vittima di una campagna scandalistica ordita da tutti i nemici che si era fatto durante gli anni di potere, Turati non recriminò mai nulla e nulla chiese al Governatore dell’Egeo, al Partito o al Duce. Dietro le sue dimissioni, giocò non poco l’astio che nutriva Roberto Farinacci nei suoi confronti.
Rientrato in Patria nel 1938 e dedicandosi solo all’attività di consulente legale, dopo la guerra fu processato e condannato, nonostante non abbia preso parte alla RSI. Ottenne l’amnistia nel 1946.
“Indubbiamente il miglior segretario del Partito Nazionale Fascista, il più dotato intellettualmente, il più equilibrato, quello che diede a Mussolini la collaborazione più attiva e sincera, senza per questo abbassarsi mai a mero esecutore”.
Renzo De Felice