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Due piani temporali, un’indefinita contemporaneità romana e il XVI secolo a Venezia.
Nel primo, Isabella confida all’amata nipote Lea, attraverso un diario, misteriose esperienze vissute tramite l’ipnosi regressiva che l’hanno convinta di aver intercettato un’esistenza passata: quella di un’alchimista veneziana, Loredana Tron.
Nel secondo, protagonista è proprio la Tron, la prima donna divenuta Maestro di un ordine alchemico operante a Venezia dal 1530, la Voarchadumia. Diversi i personaggi realmente esistiti, così come gli indizi simbolici nascosti nelle tele di Tiziano e del Giorgione. L’esistenza di questa oscura figura si snoda tra riti occulti, amore, esperimenti estremi, fino alla Peste Nera. E al sorprendente finale, che riallaccia il filo teso tra passato e presente.
Due occhi appena ritrovati tra i capi appesi mi guardavano con tristezza e intimità. Tristezza per qualcosa di perduto, intimità per qualcosa di immutabile. Era lo sguardo della rivelazione quello dell’uomo sulla quarantina, con i capelli grigi e ricci, camicia bianca di foggia antica e sguardo da mascalzone, che stava nascosto all’interno dell’armadio e mi tendeva le braccia. Era lo sguardo di un incontro scritto, atteso e fatale. Era lo sguardo di un tempo che avevo vissuto.