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A oltre trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino esistono ancora in giro per il mondo diverse città murate, divise da barriere di calcestruzzo, tornelli o checkpoint.
Città come Belfast, Sarajevo, Mostar, Mitrovica, Skopje, Nicosia, Gerusalemme, Betlemme ed Hebron.
Il reporter Daniele Dell’Orco le ha visitate e ha deciso di raccontare le loro storie, vitali per la comprensione del mondo contemporaneo, delle sue contraddizioni, dei suoi paradossi, delle sue ingiustizie e delle sue direzioni future.
Le radici storiche, il contesto politico-sociale, le sensazioni provate percorrendo le strade di ognuna di esse fanno emergere insiemi di condizioni culturali del tutto particolari e localizzate. Eppure, ognuna condivide con le altre una serie di fattori esistenziali, appartenenti a quella che potremmo chiamare una “condizione globale emergente” fatta di settarismo, esclusione sociale, autoisolamento, utilizzo delle divisioni tra popoli per interessi geopolitici e neocoloniali.
Raccontare le Città divise vuol dire tracciare un ritratto doloroso delle condizioni in cui vivono nell’indifferenza generale centinaia di migliaia di persone. Sono vite al limite, frutto però di processi socio-culturali che potrebbero presto contagiare anche gli agglomerati urbani che sembrano più “protetti”.
Se la parola che più di altre è riuscita a caratterizzare il Ventesimo secolo non può che essere massa, intesa come volume informe di persone raggruppate sotto insegne ideologiche sia democratiche, sia autoritarie, sia comunicative, sia economico-finanziarie, ciò che l’esistenza stessa delle città divise e dell’alone di disinteresse che le circonda stanno a suggerire è che c’è il rischio che la parola chiave per descrivere il Ventunesimo secolo possa finire per essere apartheid.